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Ritratto autobiografico

“Ricordo la grande “aia“ antistante la casa colonica dove nelle sere d’estate ci si riuniva con gioia intorno ad una rossa anguria tagliata a spicchi con gesti solenni dal nonno materno. In quei volti segnati dalla fatica e dal sole dei campi ritornava il sorriso e mentre i grandi parlavano di ricordi e del domani noi bambini giocavamo tra fienili e stalle in attesa del buio.
Ricordo la terra scura che si lasciava modellare dagli aratri trainati dai cavalli, i filari di viti e i fossi d’acqua dove giocavo all’infinito incurante dei richiami e rimproveri di mia madre.
Mio papà mi aveva insegnato a colare il gesso sulle impronte che gli animali lasciavano sulla terra umida. Dopo la pioggia aspettavo che gli uccelli lasciassero tracce per poter rapire con calchi il loro passaggio.
Al di là dei campi, tra le case, si sentiva il battere ritmico del martello sull’incudine: erano mio padre e mio nonno che forgiavano metalli, sbalzavano e cesellavano oggetti in rame e argento.
Una vecchia bottega tra il medioevale e il rinascimentale dove il rame incandescente sulla forgia prendeva forma al battere dei colpi; in quella fucina ero attratto dalla pece nera che si preparava in gran segreto con un rito magico che sapeva di alchimia.
Erano gesti sapienti che si mescolavano agli odori forti e ai fumi che nel tempo rivestivano di fuliggine le pareti.
E così tra terra e fuoco, tra estati spensierate nei campi e inverni trascorsi in una fucina che sapeva di metallo entrai nell’adolescenza con una desiderio inquieto di modellare creta e forgiare metalli.


Guardavo con occhi curiosi il susseguirsi delle opere in metallo che prendevano forma nel laboratorio con gesti ritmici armonizzati con il tempo tra pause e riprese.
Una liturgia del lavoro che trasformava una semplice lamina in oggetto d’arte.
Sperimentando tecniche di lavorazione antiche mi venne insegnato un linguaggio ormai scomparso nella nostra società altamente tecnologica e frammentata: imparavo ad ascoltare la materia, la sua disposizione alla malleabilità, le tensioni che manifestava, imparavo ad armonizzare i movimenti del mio corpo con l’oggetto in costruzione fino a sentirlo soggetto dialogante.
Questo prendersi cura dei materiali mi ha accompagnato e mi accompagna tutt’ora. 
E’ come essere custode di una memoria che trae le sue origini dallo sguardo di mio padre che ha saputo nella sua vita essere fedele alla sua umanità di artigiano artista.“


Cesellatore e scultore di professione Marco Danielon nasce a Verona nel 1953

Dopo la maturità tecnica conseguita nel 1974 opera nel laboratorio del padre come cesellatore e sbalzatore di metalli frequentando sia l’Accademia di Belle Arti che gli studi di scultori veronesi.
- Nel 1992 consegue il diploma di designer all’Accademia di Belle Arti Cignaroli di Verona dedicando parte del suo tempo alla progettazione e costruzione di modelli e prototipi in metallo
- Nel 2001 consegue il diploma diocesano per il restauro e la conservazione dei beni artistici.
- Nel 2011 conclude il piano di studi ordinario quadriennale all’Istituto Superiore di Scienze Religiose
- Dal 1985 al 2005 ha collaborato con il Comune di Verona e la Pubblica Istruzione insegnando ai ragazzi della scuola primaria e secondaria percorsi creativi con materiali quali il metallo e la creta. 

Sue opere sono situate in collezioni pubbliche e private, in comunità religiose, in chiese parrocchiali.

Volto, Forma, Racconto

Arte sacra