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I VOLTI DEI MIGRANTI DI PIAZZA S. NICOLO' VERONA

Foto di Alba Rigo
“Per giorni e notti giovani stranieri hanno occupato piazza San Nicolò nel cuore della città. Sono stati giorni non facili. Era il tempo di Pentecoste. Mentre nella città spesso prevale la lingua di Babele, in questa piazza si è parlato una lingua diversa. Non quella del sacro. Ma la lingua dell’uomo. L’unica che Dio parla correttamente.”


Don Marco Campedelli






























A volte bastano quattro matite colorate e un po’ di creta per tessere racconti, intonare un canto, incontrarci negli sguardi.
In piazza San Nicolò, con pochi amici e amiche, abbiamo vissuto un evento che per  qualche giorno ha trasformato il sagrato della chiesa in una festa.
Visitando i nostri volti ci siamo presi cura uno dell’altro, abbiamo compreso il valore della circolarità della vita che ha la forza di liberarci dalle nostre paure e dai nostri pregiudizi. Abbiamo per qualche giorno vissuto insieme.
Intrecci di storie, sguardi intenti a cercar volti nell’argilla, racconti che si coloravano tra tempere e pastelli, cibi preparati con cura  che profumavano di libertà.




Insieme perché abbiamo visto che quando si dice”noi e loro”  è deleterio e toglie la vita a tutti, insieme perché abbiamo visto che “noi e gli stranieri”  fa grossi danni e causa enormi sofferenze, insieme perché solo così i volti modellati e le impronte lasciate sui teli si colorano e si mescolano in mille abbracci.

E tutto questo in piazza S. Nicolò dove da giorni questi giovani migranti chiedono un permesso di soggiorno per poter continuare a esistere, per riprendere un lavoro dignitoso, per non sentirsi esclusi. Abbiamo riscoperto che la piazza, l’agorà, deve essere il luogo dell’incontro, del dialogo, della memoria, dello scambio vitale, del confronto politico e dialettico, della partecipazione e insieme anche della rabbia popolare. Oggi,  purtroppo, nella cultura moderna, la piazza non c’è, è stata volutamente sottovalutata dalla politica. Il nostro individualismo, l’incapacità di relazioni vere ci fa sentire la piazza come estranea, uno spazio urbano anonimo, senza volto e privo di memoria popolare.






Questi giovani con la loro dignità ci hanno rilanciato la speranza che nelle piazze è possibile l’integrazione dei popoli, il dialogo, l’incontro, ci hanno invitato a ritrovare la memoria dei nostri padri, ci hanno ricordato che siamo un’unica umanità a volte fragile, bisognosa dello sguardo dell’altro per poter vivere.


Marco Danielon


(Le foto di questo post sono di Metis Africa)


ROVETO ARDENTE



Nelle terre aride dove l’acqua è un bene prezioso vivono roveti.
Cespugli forti, resistenti  alla siccità, al calore del sole e al freddo della notte.
Il vento gli dà forma e i loro rami, protesi come braccia,  s’intrecciano in un apparente groviglio di foglie e spine.
Sempre in tensione tra la morte e la vita cercano rugiada che dia conforto e speranza al nuovo giorno.
All’albeggiare, quando il soffio d’oriente si rafforza, sognano terreni fertili e nella loro danza ascoltano  canti trasportati dal vento.  


Rami protesi come braccia.
Intreccio di sofferenze e grida,
Sogni di libertà.

Vento,
Fuoco che arde nel cuore,
Vita che vince 

Fertile profondità che si fida e si affida al Mistero dell’ALTRO.


Marco Danielon

CAPPELLA S. DANIELE COMBONI, ROMA


Varcando la soglia della nuova cappella…
Riflessioni di Marco Danielon

Carissime sorelle comboniane:
In questi giorni il pensiero ritorna a voi con passione, mentre un sentimento di gratitudine mi porta a condividere sensibilità ed emozioni che mi sgorgano spontaneamente dal cuore.
Lavorando con voi ho conosciuto la vicenda delle prime martiri comboniane. Più mi addentro nella loro vita più sento in cuor mio quanto viva è stata in Loro la presenza del Risorto durante la prigionia, quanto grande è stata la fede nel fidarsi e nell’affidarsi al Mistero di quel Dio di Gesù Cristo che si è lasciato cacciar fuori dal mondo sulla Croce.
Il dramma delle prime sorelle tenute prigioniere dal Mahdi esprime, secondo un mio sentire, nella fragilità della vita tutta la speranza e l’amore verso quel Gesù crocifisso che ancor oggi si rende visibile nei loro volti insanguinati dalla violenza del fanatismo religioso.
Nel segreto del loro cuore sono state salvate dalla croce, realizzando nel martirio il sogno di Dio che non è sacrificio (cf Os 6,6) ma dono di una vita per gli altri fino all’estremo.
Compagne di viaggio del Risorto, alla violenza inferta sui loro corpi da una umanità sepolta nella profonda solitudine, resero l’amore e la loro vita.

Ed è con queste prime riflessioni che desidero varcare la soglia della nuova Cappella comboniana a Roma perché, entrare in questo luogo, è entrare nella storia di fede di una comunità che affonda le sue radici nell’esperienza estrema del martirio.

Credo che solo ora posso comprendere in pienezza il cammino che abbiamo percorso insieme, posso entrare in questo spazio, posso respirare, raccogliermi, mettermi in silenzio, aprirmi e guardare le forme che nella loro essenza mi ridestano sentimenti e sensibilità condivise.


La pianta ottagonale

Mi sono lasciato accogliere nel grembo della Cappella alle prime luci dell’alba che avanzava dalle vetrate. Nella loro discreta trasparenza si caricano ogni attimo di suggestioni nuove cogliendo le meraviglie che la luce suscita nell’atto del suo apparire. 

E’ stupendo vivere in questo ottagono che ci richiama il Giorno del Signore*- cioè quello che segue il sabato – il passaggio dall’oscurità della notte alla luce del giorno che consente di vedere tutto ciò che sfiora in un graduale dilatarsi di forme e colori. 

Con i primi bagliori del mattino la pavimentazione emerge con le sue tonalità giallo ocra evocando non solo la sabbia del deserto ma esodi di popoli, i nostri esodi che ci accompagnano, a volte con fatica, verso nuove albe di risurrezione aprendoci varchi di speranza. 

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* Gesù è risorto dai morti “il primo giorno della settimana” (Mt 28,1). 
In quanto “primo giorno”, il giorno della risurrezione di Cristo richiama la prima creazione. 
In quanto “ottavo giorno”, che segue il sabato, esso significa la nuova creazione – regno di Dio - inaugurata con la risurrezione di Gesù.
Nella storia della Chiesa, da quanto risulta, i luoghi di culto a pianta ottagonale risalgono alla seconda metà del V secolo. 
In una seconda fase, poi, il centro dell’abside venne provvisto anche di una vasca battesimale, nella quale i neofiti “scendevano” – così come avviene entrando nella cappella - per immergersi e morire simbolicamente al peccato, e quindi riemergere rigenerati dall’acqua e dallo Spirito alla vita della grazia…


La Donna del Vangelo: Va’ e annuncia… 

“Immerso nella forma ottagonale della cappella che con lo scavo a terra assume l’immagine del sepolcro e del grembo fecondo in memoria del battesimo, il mio sguardo, come attratto, si posa sulla “donna del Vangelo” che dall’ambone in pietra si protende con speranza verso tanti innocenti feriti nella loro dignità, per scoprire con loro, nei loro luoghi di vita, le tracce del Risorto che sempre ci precede e ci attende.
Mosse dal vento dello Spirito Vi vedo andare con le braccia aperte verso volti che nell’abbandono e nella solitudine cercano con le loro grida e i loro silenzi il Dio della vita.

Come non ricordare, contemplando la scultura in bronzo, le prime martiri comboniane, pietre miliari in terra d’Africa, che immerse nella terra della prigionia hanno saputo assumere su di sé la Croce senza rinunciare alla loro identità di madri generatrici di vita. Fidandosi e affidandosi al mistero di Dio e alla Sua Opera, come pietre nascoste, rendono visibili, oggi come ieri, sentieri impastati con l’argilla della loro carne trasformando le grida di ribellione in grida di parto alla vita.

Solo ora comprendo che mentre modellavo la donna del Vangelo in una lenta genesi e lotta interiore tutto questo mi era già presente ma allo stesso tempo sconosciuto.
A contatto con le vostre sensibilità che sentivo e toccavo, affiorava dalla forma in creta l’essenza, la quale mi chiedeva di mettermi a sua disposizione rivelando più pienamente ciò che le era proprio.
Dovevamo incontrarci nel nucleo più profondo, là dove, come ci ricorda Romano Guardini, l’essenza della forma e l’essenza dell’uomo giungono a chiara espressione.
Ed è con questo spirito che a Roma, la sera, ascoltavo con stupore e meraviglia le vostre esperienze di Missione: riuscivate a comunicarmi la passione per l’uomo e per la salvaguardia della sua dignità dando voce ad un vissuto che si prende cura con responsabilità dell’Altro senza pretenderne mai il possesso in un dialogo rispettoso delle diversità.
Nei nostri incontri percepivo con chiarezza che il povero, lo straniero, l’emarginato erano impressi nei vostri occhi come un’icona protesa alla speranza.



L’ambone

      Modellando la creta vi sentivo in cammino verso l’Altro con quello sguardo che sembra trovar luce dal di dentro.
 Ricordo con emozione il giorno in cui, presentandovi la scultura così come era nata nel mio cuore, la Vostra sensibilità già la poneva sull’ambone come presenza efficace dell’annuncio pasquale all’universo intero, come segno tangibile di chi annuncia la prima morte e la prima vita. 
Ambone in pietra arenaria che nell’abbraccio delle forme concave e convesse evoca la proposta dell’Angelo, l’Annunciazione, la chiamata e la libera risposta di chi accoglie, come la Madre del Signore, dentro di sé la Parola di Dio fatto carne.

Ambone orientato verso il mattino, verso il sole che trabocca di vita nuova, così, come le donne del Vangelo che con la loro audacia vanno incontro al Dio della vita aprendosi al nuovo, all’incognito, anche quando questo le costa fatica e dolore.


Mensa eucaristica* e pietra angolare

      Gesù – il Signore Risorto – che si fa accanto a noi, che cammina con noi, che si fa riconoscere chiamandoci per nome e nello spezzare del pane – vedi la porta del tabernacolo – lo abbiamo posto al centro come pietra angolare quadrata, cuore dell’assemblea, perché da essa si sono nutrite e sempre si nutriranno le quattro parti del mondo (Simone di Tessalonica); mensa posta al centro, come una sorgente, perché le greggi accorrano da tutte le parti e si dissetino alle sue acque salutari (S. Giovanni Crisostomo).

Lo sguardo si posa sulla reliquia di Daniele Comboni incastonata con fede ai piedi della mensa eucaristica su quel mattone d’argilla della prima Missione di Khartoum. Un semplice mattone, un pezzo d’argilla consumato  dal sole dalla pioggia e dal vento consegnatomi da Madre Adele con tutta la cura possibile che si può dare ad un simbolo che evoca non solo il ricordo della prima Missione ma  tutte le donne del Vangelo che come pietre nascoste furono e sono preziose all’Opera di Dio.
……..Risuona in me l’inno alla Croce di S. Daniele dove questa altare diviene altare non di un unico tempio ma altare di tutto il mondo fino ai confini della terra.
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* L’altare cristiano ha la sua specifica origine non negli altari sacrificali delle antiche religioni, compresa quella ebraica, ma nella tavola dell’ultima cena. Attorno ad essa Gesù raduna nell’intimità affettuosa i suoi discepoli: ho desiderato ardentemente di mangiare questa pasqua con voi. 




La porta del tabernacolo


      Con voi si intuisce subito che in questa Mensa Cristo non è solo nel pane ma lo si riconosce nello spezzare il pane con i poveri cristi che dormono sotto i “tabernacoli” di un mondo ancora segnato profondamente dalle ingiustizie.

Quel pane spezzato, nato da una riflessione con mia figlia sulla Speranza e presente ora in bronzo come porta scorrevole del tabernacolo, custodisce nel suo nucleo più profondo l’incontro con la sofferenza dell’uomo ferito a morte invitandoci a non andare oltre ma a prenderlo sulle nostre spalle nella certezza che alleviando le fatiche dell’uomo rendiamo più lievi le fatiche di Dio.

E’ il Gesù crocifisso e Risorto che si è lasciato modellare dalle vostre sensibilità femminili con tutta la Tenerezza possibile che mi avete donato lungo un cammino percorso insieme  nella condivisione di quel pane spezzato che si è reso visibile nel mio cuore come Opera di Dio che si fa carne. 





Dedico queste riflessioni a:
Madre Adele e al capitolo Generale che mi hanno trasmesso l’amore per la donna del Vangelo; Suor Angela Colombi, preziosa consigliera che mi è sempre stata accanto condividendo gioie e fatiche; a tutte Voi che mi avete accolto nella famiglia comboniana con affetto e amicizia.
A mia moglie Rossella che come sempre mi sostiene in questi percorsi di particolare intensità.
Alla direzione lavori Ludovisi-Felici che con sensibilità e competenza ha saputo coordinare e valorizzare nel progetto il mio lavoro.   
                                                                 Verona 26 maggio 2008

Marco Danielon*



LA PELLE DI DIO


Tabernacolo in pietra. 
Nota a margine dell’opera di Marco Danielon 


Il tabernacolo opera di Marco Danielon evoca una pittura  di Paul Klee, dove la semplicità esprime la sintesi di un cammino. Un lavoro di sottrazione, di scavo alla ricerca dell’anima della pietra e del nocciolo della fede. La forma geometrica netta e forte esprime stabilità e affidabilità.  Ma in quel corpo squadrato la pietra colpita dallo scalpello e il  taglio che  attraversa la superfice rivela la fragilità di quel corpo, la sua ferita. Le parti ruvide di quel corpo di pietra raccontano la pelle di Dio.

La pelle di un Dio che ha sete di amore e cammina lungo il deserto del mondo per condurre verso l’acqua viva. E’ la pelle delicata e segnata di un padre o di una madre che non nascondono le rughe, segno del loro magistero, da cui sono fiorite le generazioni. La pelle di Dio dice paternità e maternità. E in mezzo a quel corpo di Dio, come l’arcobaleno dopo il diluvio, è impressa la ferita dell’incarnazione. La parabola di Cristo che arriva al cuore della Legge scritta sulla pietra e ne fa uscire il canto. E’ la ferita del costato di Cristo, provocata dalla lama di una lancia. E’come una bocca aperta che invoca più che gridare. Invoca  lo sguardo del samaritano che passa lungo la strada affinché abbia compassione e si fermi, perché tutti gli affaticati e  gli oppressi trovino riposo. E’ una ferita ospitale quella incisa nella pietra, che accoglie  il dubbio di chi gli sta davanti insieme alla consegna di un segreto, di una parola d’amore. Ferita di spada , ma anche feritoia pasquale. La stessa che apparve agli occhi di Tommaso il quale fu invitato  dal Cristo a mettere il dito nella profondità del mistero.

La forza di questa ferita pasquale evoca lo stupore e l’incanto che Caravaggio impresse sulla tela. Ferita che ospita il canto del dubbio e fa sentire ciascuno intorno alla tavola di Dio. Il marmo bianco dell’Altipiano di Asiago custodisce i semi sparsi nel vento mescolati al sangue di tante giovani vite mandate a morire nella grande guerra. La pietra di questo tabernacolo custodisce la  memoria dei morti e le tante primavere negate in attesa di risurrezione. E insieme al sangue, alle storie di guerra, come quelle raccontare da Mario Rigoni Stern, c’è l’acqua delle lacrime delle tante donne, spose e madri addolorate, madonne di tutti i tempi, accovacciate sotto la croce in silenzio. 

E’ un tabernacolo aperto questo. Senza serratura. Perché  Dio possa donarsi con più agio, come più gli piace . Per risparmiargli la fatica  e lasciare libero l’incontro. E’ lo sguardo orante la vera custodia del pane di Dio. E’ lo stesso pane ospitante e ospitale che si lascia prendere e si consegna al viandante, al pellegrino, al peccatore senza resistenza. Chi ha fame venga e mangi. Non si paga questo pane;  è un pane che matura nei solchi della gratuità e si dona. Un pane che nasce dall’albero della croce. 
“Prendete e mangiate tutti”, voi che avete fame di senso, di tenerezza, di giustizia. 

Davanti a questo tabernacolo ci si sente come convocati, ospitati. E tuttavia questa convocazione non si ripiega in una postura intimista. La ferita parlante ti riconsegna al mondo, ti chiede di proseguire il viaggio. Proprio come Gesù che passato da un villaggio si ferma ma poi prosegue per altri villaggi e altre città.  E’ una pietra  in movimento, un corpo in evoluzione quello di questa pietra bianca, che contesta in un certo senso ogni ripiegamento e ogni rassegnazione. Un invito ad alzarsi in piedi e andare, magari a due e due come i discepoli di Emmaus verso la periferia del mondo per riconoscere nei corpi delle donne e degli uomini feriti e umiliati la ferita della pietra, la pelle di Dio. 
Tabernacolo come icona di una Chiesa conviviale che apre il suo grembo agli smarriti e ai soli. 
Una pietra che vibra , quella di questo tabernacolo, come corpo vivente.
E fa gridare a Maria “Egli  è vivo, è vivo, lo grida la mia carne di madre” (A. Merini)   
                                                                   
Don Marco Campedelli 

Maria madre di Dio

Riportiamo alcune delle "parole dal cuore" che la scultura di Marco Danielon, intitolata "Maria madre di Dio", ha suscitato nelle centinaia di persone che hanno sostato presso il monastero di Sezano durante il periodo di Avvento 2009 per pregare con la Comunità degli Stimmatini.














1. La forza della sopravvivenza. Gaia M.

2. I capelli: sembra che qualcuno li tenga e li tiri indietro. Ma non si può tornare indietro! Così tirati non permettono alla donna di voltarsi indietro ma quasi la obbligano a guardare in alto, in avanti e in alto. La forza che tira indietro spinge la volontà avanti. Ciò che si deve compiere non può essere cambiato. Così a fatica farà un altro passo. Paola S.

3. Lo sguardo rivolto verso l'alto, la mano che stringe il frutto della grazia, sembra che voglia donare a Dio il piccolo che germoglia nel suo grembo. Renzo B.

4. La speranza portata nel grembo, i passi sicuri per l'umanità in cammino, il viso rivolto all'Alto in un colloquio di fede-fiducia...La statuetta parla di purezza, di immacolatezza, Maria - la nuova Eva - riconsacra il corpo. Grazie a Marco e a tutti voi per questo piccolo capolavoro che tanto parla al nostro cuore. Andreina C.

5. La trovo di una Bellezza rara, semplice. Esprime intensamente il dolore ma nel contempo la felicità che una madre prova a portare in grembo il proprio figlio, nel portare a compimento il dono che è la vita. Assurdo pensare il contrario. Chiara B.

6. La maternità è un dono, una grazia, è un mistero, il mistero della vita. Questa scultura parla di questo, lo fa vibrare nella sua semplicità. Ringrazio di aver avuto l'opportunità di vedere e percepire questo in questa "Madre di Dio". Antonella P.

7. Maria pellegrina
spettinata dal vento
p che spinge la nave
nelle onde del mistero
ragazza stupefatta
dal segreto che ti abita
e come tutte noi ti tieni le reni
a sostenere la nuova vita
a sostenere tutte le vite
la tua verità
ancora scatena tempesta
ancora è capace di rivoluzione
quale andare ti guida
quale stella ti spinge...
Giulia V.

8. Scultura semplice e stupenda. Scaturisce freschezza, gioia, fierezza della cosa più bella del mondo: la maternità. Maria Madre di Gesù rappresentata da questa statuetta è la cosa più pura, pulita che rasserena l'anima di chi la guarda. Grazie. Cordioli C.

9. Le persone "pulite dentro" non avranno difficoltà nel cogliere la purezza, la semplicità di questo cammino di donna gravida, di donna in attesa del ns. Messia. Dolce è il suo sguardo e puro nella sua nudità il corpo di Maria. Grazie Danielon della tua sensibilità artistica. Lorena F.

10. In mezzo a tanto fango, in mezzo a tanto letame, a tanta stupidità nascono ancora dei bellissimi fiori! Grazie Signore! Giorgio F.

11. Una attesa di vita terrena. Fabrizio L.

12. E' una bellissima immagine, ma non richiama alla sacralità della ispirazione. Achille N.

13. "Grazie...è la forza sovrumana di affrontare il mondo e la maternità...fidandosi di Dio che si fa uomo in te, Miriam" - parafrasando Erri de Luca. Sandra B.

14. Grazie. Raffaella

15. E' di una bellezza commovente: mi dà il senso del coraggio, della forza anche nella sofferenza del parto imminente, della fierezza e dell'orgoglio per la consapevolezza di dare la vita. Grazie. Beatrice G.

16. Le lacrime scendono, il cuore si gonfia, è un dolce dolore che senti dentro, è un dolore che ti dà forza, che ti fa scegliere da che parte stare, un dolore che ti apre alla vita ad una vita che in questo mondo umano spesso "scappa" ma chi ha dentro la limpidezza se la riprende, la tiene stretta, alza la testa al creato e lo chiama in ogni istante. Grazie. Ornella D. F.

17. Oggi sono capitata qui per caso. Ma nella vita ho imparato che mai nella succede per "caso". Quel viso rivolto alla Luce vera che offre la sofferenza e il dono di una vita nuova! Commovente. Grazie Signore per avermi fatta arrivare fin qui oggi. Anna P.

18. L'opera esalta la dignità della donna, la natura, la vita.

19. La sacralità del divino che le donne (tutte) posseggono. Marilla M.

20. "Guardo a te Signore, tu guidi la mia vita, non so come andrà...ti seguo con trepidazione, Tu sei la mia luce, non avrò timore...". Questo mi suggerisce la statuetta...Una statua bellissima, piena di grazia e di amore per le donne e l'umanità. Un mistero di creazione che, forse, una donna madre apprezza maggiormente...potessero tutti gli uomini avere un simile sguardo nei confronti delle donne! Giulia M.

21. Momento sublime: il dono della vita! Esprime il massimo della spiritualità concessa all'uomo...donna.

22. Tu donna, semplicemente unica nel tuo essere e nel tuo esistere; grazie per essere stata la prima culla del nostro vivere. Claudio B.

23. Grazie! Oggi mi è stata regalata una goccia di commozione. Uomo, cristiano, prete, consacrato..."pulito dentro", non per mio merito, ma perché Dio mi vuole bene e mi vuole bello, non ho potuto vedere che un riflesso della sua bellezza. Sono contento e per quanto riesca, sarò vicino alla comunità con la preghiera e con tutto l'affetto. Sergio T.

24. Per me non ha niente di scandaloso e tanto meno di blasfemo. Suscita tanta tenerezza e ammirazione per questa madre in attesa, e che attesa! La figura è molto dolce e amorevole. Francesco B.

25. Questa sera "il Magnificat" è diventato più mio! Contemplare la "statuetta" nel silenzio illuminato dalla luce di questa stanza...mi ha aiutato a contemplare l'annuncio della 1° antifona dei versi della liturgia di oggi: "Maria SS. Madre di Dio". Il testo dell'antifona dice: "Il creatore ha preso un'anima e un corpo: è nato da una vergine; fatto uomo senza opera di uomo...ci dona la sua divinità!...Il volto della donna teso verso l'alto...riceve tutto dall'alto...e accoglie il dono dall'alto! Giovanni G.

26. E' un canto di gioia e di dolore per quanto di più sacro ospitiamo. Questo corpo, questa carne viva e che dobbiamo lasciare questa vita che ci è data senza aver fatto nulla per averla. E che ci venne tolta. La leggerezza e la freschezza di una giovane donna che corre nel vento. Laura P.

27. Dio si fa carne nel grembo di una donna, Dio si fa uomo e non siamo più soli...Di fronte a tanta dolcezza e forza non possiamo che accogliere e benedire.

28. Maria, la Vergine, pensata pura, creatura Madre del Creatore: un canto umano alla grandezza di Dio. Ogni donna che cammina sulla via della maternità è canto alla magnificenza e alla misericordia del nostro Creatore che ci è Madre e Padre. Antonio F.

29. Che stupore ritrovarti così piccola al termine di questa vicenda...ti ricordo all'inizio dell'Avvento, mi eri parsa così grande, grandiosa nella Tua fragilità tutta umana, nuda, affaticata,...e nera! Lo stupore è tutto, oggi, davanti a te, nulla ne rimane per il clamore qua fuori, la fuori, la giù...nessuno stupore, purtroppo! Con tanto amore, per te e per la comunità di Sezano che ti accoglie. Isabella Z.

30. Bellezza, armonia, dolce timore dell'attesa. E' proprio bella. Elisabetta E.

31. Ho pensato all'intima e consapevole fatica della maternità; all'intimo raccoglimento e ai grandi, infiniti, dolci segreti che la maternità porta con se. E La Vergine li faceva tutti in se e nello stesso tempo a generoso dono di umanità. Io, dentro di me, mi sono sentita madre un'altra volta, ma questa volta, in maniera più cosmica , universale come a prendere in me tutto il mondo.
Giustina D. F.

32. Maria, Madre di Dio, colei che porta la Vita e la difende con dignità sempre e comunque...Cinzia B.

33. La Madre di Dio cammina. Umano e teneramente materno il suo gesto di proteggere con la mano il ventre e la schiena. Il viso teso in contemplazione verso il cielo. Dolcissima, altissima, rappresentazione dell'attesa. Grazie. Maria C.

34. La verità della vita. La vita è la verità. Raffaele

35. Attenti al soffio dello Spirito, brezza leggera o vento, non percepito Maurizio

36. E' bellissima, non riesce ad esprimere tutti i sentimenti che mi suscita. Ci provo! Gratitudine, bellezza, leggerezza, relazione, cammino,...GRAZIE di cuore, mi fa sentire bene!

37. Fierezza di offrire al mondo il frutto del suo ventre e offerta all'assoluto all'eterno all'essere infinito.

38. Grazie per il corpo. E per l'incontro dei corpi, attraverso il quale passa la tua volontà, e il Tuo Amore e il Tuo Spirito. Grazie per questo corpo di donna, accogliente e misterioso. Grazie per la Bellezza e per l'Incanto.

39. Il Magnificat raffigurato con una danza.

40. Guardo e penso: è l'essenza, la forza che supera tutto. Dobbiamo cercare l'essenza che è in noi ed esternarla, forse saremo più umani, con migliori relazioni e più giuste. Anna Maria S.

41. Dolcezza, fragilità, tenerezza, fatica. Giuseppe A.

42. Grazie Maria, madre della vita, in cammino per portare a ciascuno la fonte della vita! Sonia 

43. Propongo di dare anche un altro nome all'opera di Danielon: "L'origine della vita, l'inizio dell'amore". Stefano C.

44. Ciò che si vede non è la nudità ma la bellezza di chi, chiamato, alza lo sguardo ed è investito dalla Forza del vento dello Spirito Santo. Semplicemente Grazie. Enrico Z., Cinzia R.

45. Stupore, accettazione gioiosa, slancio sicuro verso l'ignoto. Antonio M.

46. Finalmente la maternità si vede in tutti i suoi aspetti. Grazie. Rita

47. Mi piace pensare che Maria abbia sentito Gesù muoversi nel suo seno, che abbia sentito la sua persona sempre più viva. Mi piace pensare che Gesù abbia succhiato il suo latte. Mi piace pensare che Gesù abbia riconosciuto a lungo il battito del suo cuore e la sua voce. Mi piace pensare che l'abbia chiamata 'mamma'. Come potrebbe altrimenti Gesù essere nostro Dio ma uomo tra gli uomini? Pasquale S.

48. ...e proprio dal cuore, dal più profondo del cuore, nasce un sentimento di stupore, di meraviglia, di speranza...basta guardare oltre...al di là del tempo e dello spazio, oltre...la...dove si scioglie dolcissima una emozione di tenerezza, di pace, di amore, di immensità...nell'universo piu' profondo, la devi immergerti per ritrovare e ritrovarti bambino a guardare stupito il senso del tuo esistere..."il mistero"...di Dio...è così semplice...l'essenziale è visibile agli occhi di ogni creatura che si abbandona e si affida al mistero di Dio. Rossella

49. ...sospiri, occhi lucidi di gioia e a volte di pianto, speranza e sorrisi, e nel vento senti un sussulto, la melodia di Dio, un sussulto dell'anima e nasce un sincero e profondo...
Grazie. Marta T.

50. Quest'immagine mi riporta al tempo della mia gravidanza, a quando mi sentivo più vicina a Dio, in quanto capace di pro-creare. E come questa Maria sono ancora nella fase di pro-creare ogni giorno i miei figli e... tutte le persone che incontro. Forse la grande maternità di Maria era proprio questo farci sentire tutti figli suoi e quindi...fratelli.

Grazie Marco
Teresa D.L.

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