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CAPPELLA S. DANIELE COMBONI, ROMA


Varcando la soglia della nuova cappella…
Riflessioni di Marco Danielon

Carissime sorelle comboniane:
In questi giorni il pensiero ritorna a voi con passione, mentre un sentimento di gratitudine mi porta a condividere sensibilità ed emozioni che mi sgorgano spontaneamente dal cuore.
Lavorando con voi ho conosciuto la vicenda delle prime martiri comboniane. Più mi addentro nella loro vita più sento in cuor mio quanto viva è stata in Loro la presenza del Risorto durante la prigionia, quanto grande è stata la fede nel fidarsi e nell’affidarsi al Mistero di quel Dio di Gesù Cristo che si è lasciato cacciar fuori dal mondo sulla Croce.
Il dramma delle prime sorelle tenute prigioniere dal Mahdi esprime, secondo un mio sentire, nella fragilità della vita tutta la speranza e l’amore verso quel Gesù crocifisso che ancor oggi si rende visibile nei loro volti insanguinati dalla violenza del fanatismo religioso.
Nel segreto del loro cuore sono state salvate dalla croce, realizzando nel martirio il sogno di Dio che non è sacrificio (cf Os 6,6) ma dono di una vita per gli altri fino all’estremo.
Compagne di viaggio del Risorto, alla violenza inferta sui loro corpi da una umanità sepolta nella profonda solitudine, resero l’amore e la loro vita.

Ed è con queste prime riflessioni che desidero varcare la soglia della nuova Cappella comboniana a Roma perché, entrare in questo luogo, è entrare nella storia di fede di una comunità che affonda le sue radici nell’esperienza estrema del martirio.

Credo che solo ora posso comprendere in pienezza il cammino che abbiamo percorso insieme, posso entrare in questo spazio, posso respirare, raccogliermi, mettermi in silenzio, aprirmi e guardare le forme che nella loro essenza mi ridestano sentimenti e sensibilità condivise.


La pianta ottagonale

Mi sono lasciato accogliere nel grembo della Cappella alle prime luci dell’alba che avanzava dalle vetrate. Nella loro discreta trasparenza si caricano ogni attimo di suggestioni nuove cogliendo le meraviglie che la luce suscita nell’atto del suo apparire. 

E’ stupendo vivere in questo ottagono che ci richiama il Giorno del Signore*- cioè quello che segue il sabato – il passaggio dall’oscurità della notte alla luce del giorno che consente di vedere tutto ciò che sfiora in un graduale dilatarsi di forme e colori. 

Con i primi bagliori del mattino la pavimentazione emerge con le sue tonalità giallo ocra evocando non solo la sabbia del deserto ma esodi di popoli, i nostri esodi che ci accompagnano, a volte con fatica, verso nuove albe di risurrezione aprendoci varchi di speranza. 

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* Gesù è risorto dai morti “il primo giorno della settimana” (Mt 28,1). 
In quanto “primo giorno”, il giorno della risurrezione di Cristo richiama la prima creazione. 
In quanto “ottavo giorno”, che segue il sabato, esso significa la nuova creazione – regno di Dio - inaugurata con la risurrezione di Gesù.
Nella storia della Chiesa, da quanto risulta, i luoghi di culto a pianta ottagonale risalgono alla seconda metà del V secolo. 
In una seconda fase, poi, il centro dell’abside venne provvisto anche di una vasca battesimale, nella quale i neofiti “scendevano” – così come avviene entrando nella cappella - per immergersi e morire simbolicamente al peccato, e quindi riemergere rigenerati dall’acqua e dallo Spirito alla vita della grazia…


La Donna del Vangelo: Va’ e annuncia… 

“Immerso nella forma ottagonale della cappella che con lo scavo a terra assume l’immagine del sepolcro e del grembo fecondo in memoria del battesimo, il mio sguardo, come attratto, si posa sulla “donna del Vangelo” che dall’ambone in pietra si protende con speranza verso tanti innocenti feriti nella loro dignità, per scoprire con loro, nei loro luoghi di vita, le tracce del Risorto che sempre ci precede e ci attende.
Mosse dal vento dello Spirito Vi vedo andare con le braccia aperte verso volti che nell’abbandono e nella solitudine cercano con le loro grida e i loro silenzi il Dio della vita.

Come non ricordare, contemplando la scultura in bronzo, le prime martiri comboniane, pietre miliari in terra d’Africa, che immerse nella terra della prigionia hanno saputo assumere su di sé la Croce senza rinunciare alla loro identità di madri generatrici di vita. Fidandosi e affidandosi al mistero di Dio e alla Sua Opera, come pietre nascoste, rendono visibili, oggi come ieri, sentieri impastati con l’argilla della loro carne trasformando le grida di ribellione in grida di parto alla vita.

Solo ora comprendo che mentre modellavo la donna del Vangelo in una lenta genesi e lotta interiore tutto questo mi era già presente ma allo stesso tempo sconosciuto.
A contatto con le vostre sensibilità che sentivo e toccavo, affiorava dalla forma in creta l’essenza, la quale mi chiedeva di mettermi a sua disposizione rivelando più pienamente ciò che le era proprio.
Dovevamo incontrarci nel nucleo più profondo, là dove, come ci ricorda Romano Guardini, l’essenza della forma e l’essenza dell’uomo giungono a chiara espressione.
Ed è con questo spirito che a Roma, la sera, ascoltavo con stupore e meraviglia le vostre esperienze di Missione: riuscivate a comunicarmi la passione per l’uomo e per la salvaguardia della sua dignità dando voce ad un vissuto che si prende cura con responsabilità dell’Altro senza pretenderne mai il possesso in un dialogo rispettoso delle diversità.
Nei nostri incontri percepivo con chiarezza che il povero, lo straniero, l’emarginato erano impressi nei vostri occhi come un’icona protesa alla speranza.



L’ambone

      Modellando la creta vi sentivo in cammino verso l’Altro con quello sguardo che sembra trovar luce dal di dentro.
 Ricordo con emozione il giorno in cui, presentandovi la scultura così come era nata nel mio cuore, la Vostra sensibilità già la poneva sull’ambone come presenza efficace dell’annuncio pasquale all’universo intero, come segno tangibile di chi annuncia la prima morte e la prima vita. 
Ambone in pietra arenaria che nell’abbraccio delle forme concave e convesse evoca la proposta dell’Angelo, l’Annunciazione, la chiamata e la libera risposta di chi accoglie, come la Madre del Signore, dentro di sé la Parola di Dio fatto carne.

Ambone orientato verso il mattino, verso il sole che trabocca di vita nuova, così, come le donne del Vangelo che con la loro audacia vanno incontro al Dio della vita aprendosi al nuovo, all’incognito, anche quando questo le costa fatica e dolore.


Mensa eucaristica* e pietra angolare

      Gesù – il Signore Risorto – che si fa accanto a noi, che cammina con noi, che si fa riconoscere chiamandoci per nome e nello spezzare del pane – vedi la porta del tabernacolo – lo abbiamo posto al centro come pietra angolare quadrata, cuore dell’assemblea, perché da essa si sono nutrite e sempre si nutriranno le quattro parti del mondo (Simone di Tessalonica); mensa posta al centro, come una sorgente, perché le greggi accorrano da tutte le parti e si dissetino alle sue acque salutari (S. Giovanni Crisostomo).

Lo sguardo si posa sulla reliquia di Daniele Comboni incastonata con fede ai piedi della mensa eucaristica su quel mattone d’argilla della prima Missione di Khartoum. Un semplice mattone, un pezzo d’argilla consumato  dal sole dalla pioggia e dal vento consegnatomi da Madre Adele con tutta la cura possibile che si può dare ad un simbolo che evoca non solo il ricordo della prima Missione ma  tutte le donne del Vangelo che come pietre nascoste furono e sono preziose all’Opera di Dio.
……..Risuona in me l’inno alla Croce di S. Daniele dove questa altare diviene altare non di un unico tempio ma altare di tutto il mondo fino ai confini della terra.
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* L’altare cristiano ha la sua specifica origine non negli altari sacrificali delle antiche religioni, compresa quella ebraica, ma nella tavola dell’ultima cena. Attorno ad essa Gesù raduna nell’intimità affettuosa i suoi discepoli: ho desiderato ardentemente di mangiare questa pasqua con voi. 




La porta del tabernacolo


      Con voi si intuisce subito che in questa Mensa Cristo non è solo nel pane ma lo si riconosce nello spezzare il pane con i poveri cristi che dormono sotto i “tabernacoli” di un mondo ancora segnato profondamente dalle ingiustizie.

Quel pane spezzato, nato da una riflessione con mia figlia sulla Speranza e presente ora in bronzo come porta scorrevole del tabernacolo, custodisce nel suo nucleo più profondo l’incontro con la sofferenza dell’uomo ferito a morte invitandoci a non andare oltre ma a prenderlo sulle nostre spalle nella certezza che alleviando le fatiche dell’uomo rendiamo più lievi le fatiche di Dio.

E’ il Gesù crocifisso e Risorto che si è lasciato modellare dalle vostre sensibilità femminili con tutta la Tenerezza possibile che mi avete donato lungo un cammino percorso insieme  nella condivisione di quel pane spezzato che si è reso visibile nel mio cuore come Opera di Dio che si fa carne. 





Dedico queste riflessioni a:
Madre Adele e al capitolo Generale che mi hanno trasmesso l’amore per la donna del Vangelo; Suor Angela Colombi, preziosa consigliera che mi è sempre stata accanto condividendo gioie e fatiche; a tutte Voi che mi avete accolto nella famiglia comboniana con affetto e amicizia.
A mia moglie Rossella che come sempre mi sostiene in questi percorsi di particolare intensità.
Alla direzione lavori Ludovisi-Felici che con sensibilità e competenza ha saputo coordinare e valorizzare nel progetto il mio lavoro.   
                                                                 Verona 26 maggio 2008

Marco Danielon*



Volto, Forma, Racconto

Arte sacra